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Carcinoma della Prostata

Il cancro della prostata colpisce abitualmente soggetti tra i 60 e gli 80 anni con un picco di frequenza nella 7° decade di vita. Esiste una apprezzabile differenza fra l’incidenza clinica e quella anatomo- patologica dell’affezione: all’età di 80 anni, circa il 25% degli uomini presenta segni clinici della malattia, mentre nella stessa età è presente un reperto autoptico positivo almeno nei 2/3 dei soggetti osservati.

Il cancro prostatico, per l’uomo, è al secondo posto per mortalità tumorale in tutte le età, mentre è al primo dopo i 75 anni; è raro sotto i 50 anni, si ha un incremento con l’età del 3-4% ogni anno; è più soggetta al tumore la razza nera, esiste infine una familiarità che suggerisce una componente genetica.
Il rischio di tumore nei gemelli omozigoti è praticamente uguale.

La causa oncogenetica è ovviamente ignota, mentre sono ben conosciuti alcuni rapporti tra tumore ed ormoni sessuali sia maschili che femminili (androgeni ed estrogeni).Il carcinoma origina sempre dalla periferia della prostata anche se talvolta può ritrovarsi in alcuni frammenti di tessuto adenomatoso (ghiandolare) centrale.

Istologia – sede – Gleason score

Clinica

I sintomi, proprio per la insorgenza periferica lontano dal canale uretrale , nelle fasi iniziali sono assenti, per cui la sindrome ostruttiva si manifesta generalmente nel portatore di carcinoma prostatico in stadio avanzato.
La caratteristica che contraddistingue il quadro dell’uropatia ostruttiva da carcinoma da quelle di altra origine (stenosi uretrale, adenoma prostatico, sclerosi del collo vescicale, ecc.) è la sua rapida evoluzione in poche settimane o alcuni mesi, dagli stadi iniziali alle forme conclamate. Possono coesistere dolori perineali, ritenzione acuta di urina, e talvolta ematuria macroscopica.
Ai sintomi da diffusione locale già descritti si può aggiungere la stranguria per infiltrazione del trigono, la presenza di sintomi ostruttivi delle alte vie urinarie per ostacolo a livello dei meati ureterali fino a dolori tipo colica. Altri possono essere rappresentati dalla emospermia, e da difficoltà alla defecazione per la compressione sul lume rettale.
La diffusione locale, avviene inizialmente verso la capsula prostatica, con interessamento prima della prostata caudale poi della craniale, in una fase più avanzata viene interessata l’uretra prostatica, dando luogo alla sintomatologia urinaria. Successivamente per contiguità il carcinoma si diffonde verso le vescicole seminali, il trigono vescicale, interessando frequentemente gli sbocchi ureterali, e verso il retto.


Le metastasi, frequenti e precoci avvengono per via linfatica ed ematica. Tale tipo di diffusione dipende da una parte dall’affinità del carcinoma per i linfatici dall’altra da una ricca rete di linfatici intraprostatici. Le metastasi a distanza più frequenti interessano il tessuto osseo e vanno verificate anche nel follow-up della malattia. I sintomi legati alla diffusione sono i dolori ossei o radicolari, disturbi della deambulazione, talvolta paraplegie per fratture patologiche vertebrali.

Diagnosi

Come per ogni tumore, la diagnosi deve precisarne sia l’esistenza che lo stadio evolutivo della malattia.
L’esame obiettivo deve sempre comprendere una esplorazione rettale, che può evidenziare la presenza di un nodulo di aumentata consistenza rispetto alla ghiandola circostante, spesso dolente alla palpazione.
Gli esami di laboratorio possono suggerire la presenza di tessuto neoplastico, in particolare il Psa totale (antigene prostatico specifico) il Psa libero (free) ed il loro rapporto (libero/totale); la sua velocità di crescita Psa (velocity); il Pca3 nelle urine, il pro2psa danno una indicazione all’urologo sulla strada da percorrere per soprassedere o per approfondire la diagnosi.

L’ ecografia vescico-prostatica con sonda trans rettale, rappresenta, se affidata a mani esperte, l’indagine più affidabile per una diagnosi di esistenza.
Il trim probe della prostata che esamina la “funzionalità” del tessuto prostatico che indica se il tessuto esaminato è flogistico, iperplasico o tumorale.
La diagnosi di certezza si ha solo con l’agobiopsia prostatica perineale sotto guida ecografica trans-rettale. Consiste nel praticare una anestesia locale e nel prelievo, mediante un particolare ago, di frustoli di tessuto prostatico sospetto e di tessuto sano delle altre porzioni prostatiche.

La TAC addome e pelvi con mezzo di contrasto o la RMN della prostata oltre ad evidenziare la patologia sono utili per la valutazione delle strutture linfonodali satelliti e a distanza. La scintigrafia ossea evidenzia la presenza di eventuali metastasi a carico dl tessuto osseo.

Terapia chirurgica

Requisito fondamentale al fine di ottenere un buon risultato è la presenza di un tumore confinato all’interno della capsula prostatica, nonché la documentata assenza di metastasi. L’escissione della ghiandola deve essere completa e comprendere l’asportazione delle vescicole seminali (prostatovesciculectomia) ove possibile con tecnica nerve sparing e neck sparing ossia risparmiando i nervi deputati all’erezione, ed il collo vescicale, che assieme allo sfintere uretrale, consentirà di evitare o limitare l’incontinenza urinaria.
La chirurgia secondo il caso richiede una linfadenectomia delle stazioni otturatorie, ipogastriche, iliache comuni sino alla biforcazione aortica.
Gli interventi di prostatectomia radicale possono essere eseguiti con tecnica tradizionale “a cielo aperto” e con tecnica mini invasiva laparoscopica.

Classificazione tumorale TNM

La terapia chirurgica palliativa
Si impone in tutti i casi in cui la neoplasia prostatica, spesso in stadio avanzato, abbia coinvolto il collo vescicale, l’uretra, gli osti ureterali e configura uno stato ostruttivo con difficoltà allo svuotamento vescicale. Spesso la dinamica minzionale può essere ripristinata mediante resezioni trans uretrali (TUR).

La radioterapia

La terapia radiante, a seconda dei casi, può costituire sia un’alternativa alla chirurgia sia una terapia integrativa in pazienti precedentemente sottoposti a terapia ormonale o chirurgia radicale.

La terapia ormonale

Può essere usata in sede preoperatoria, in caso di recidive, o come terapia palliativa.

Chemioterapia

Viene riservata alle forme che non rispondono alla terapia ormonale. Si usano, a discrezione degli oncologi, doxirubicina, epirubicina, mitoxantrone, taxani, etc..

Sessualità dopo prostatectomia radicale

Dopo aver effettuato e partecipato a numerosi interventi di prostatectomia radicale, sulla base di riesami a livello mondiale, e valutato i pazienti dopo mesi, consiglio sempre un precoce programma di riabilitazione sessuale dopo prostatectomia radicale; dato che si è ancora in grado di raggiungere l’orgasmo!
Ovviamente non ci sarà più l’eiaculazione, dato che non ci sarà più la prostata disponibile a produrre il suo liquido.
Il programma prevede una valutazione sessuale prima della prostatectomia radicale e metodi mirati al recupero della funzione sessuale dopo l’intervento.
Nel programma si include anche l’intervento, infatti, quando possibile si risparmiano entrambi i nervi deputati all’erezione (tecnica nerve sparing) o almeno un nervo (unilateral nerve sparing).
Importante è l’età del paziente, tanto più giovani si è, quanto è più facile il recupero dell’erezione; d’altro canto, se una disfunzione erettile è presente prima dell’intervento, si ha una minore possibilità di ritrovare una funzione sessuale.
Personalmente, consiglio di iniziare il programma riabilitativo già dopo poche settimane dall’intervento chirurgico.
Il programma prevede, in primis ristabilire un contatto intimo con il partner, l’impiego di farmaci per via orale, eventualmente l’utilizzo di farmaci per iniezione intrapeniena (ciò favorisce l’ossigenazione dei corpi cavernosi penieni e reprime la fibrosi degli stessi).
Nei casi in cui la funzione peniena non dovesse riprendere è auspicabile l’impianto di protesi peniene, che normalmente si associa a notevole soddisfazione da parte dei pazienti e dei partner.
Una valutazione individuale aiuterà alla scelta della corretta strategia terapeutica.